Da quando il nostro Paese è stato duramente colpito dall’insorgere di una emergenza sanitaria di così vasta portata, gli operatori del sistema sanita- rio e sociosanitario si sono trovati all’improvviso in prima linea a fronteggiare un nemico del tutto sconosciuto. Non solo medici e infermieri negli ospedali, dunque, sono stati in prima linea, ma anche il personale delle RSA, che si è dovuto trasformare anche in familiare e in amico, per aiutare e sostenere i residenti. Nel corso di questi mesi, ComfortCura si è sempre tenuta in contatto con le strutture ad essa affiliate, assicurando la propria vicinanza e, per quanto possibile, fornendo un supporto morale.
Dalle diverse interlocuzioni, emerge in primis la difficoltà nel ripensare a quei momenti: molti non hanno ancora superato la sofferenza che si sono trovati ad affrontare. Da un giorno all’altro tutto è cambiato e si sono dovuti adattare a una nuova situazione con cui hanno dovuto imparare a convivere. È stato necessario ripensare alle regole e alle procedure da seguire, nonché a come riorganizzare la struttura, creando camere singole e interi nuclei dedicati agli anziani affetti da Covid. Inizialmente, non avendo regole ben chiare e condivise da seguire, è stato davvero molto complesso: alcuni hanno chiuso immediatamente l’accesso alla struttura, trovandosi le famiglie
contro; d’altro canto altri, tardando, ne hanno poi subito le conseguenze. L’iniziale mancanza di dispositivi di protezione individuali ha gravato su una situazione già incerta e complicata. Tutti gli intervistati sono concordi nel dire che è stato un periodo estremamente duro, difficoltoso e molto stancante anche a livello emotivo, ma che in un certo senso, ha portato anche un arricchimento. In un attimo, il personale si è ritrovato ad es- sere l’unico contatto e punto di riferimento che i residenti potevano avere: è diventato un sostegno emotivo, è diventato quasi famiglia.

In quei mesi di emergenza, l’ambiente lavorativo si è modificato, diventando meno formale e codificato, ma molto più umano e affettivo nei confronti degli anziani. Inizialmente si provava un senso di impotenza: vederli star male e non riuscire ad aiutarli era davvero doloroso. Ora finalmente c’è un senso di speranza, grazie ai vaccini, anche se non siamo ancora tornati alla normalità. Ma forse quella che chiamavamo “la normalità” non tornerà più. Tuttavia, in ragione del Covid gli operatori sono riusciti in alcune situazioni, a stringere un legame ancora più forte con i residenti e a ripensare al loro rapporto.
Non avendo più i familiari accesso alle strutture, gli operatori hanno dovuto imparare ad accompagnare gli ospiti alla morte, in modo diverso rispetto al passato, con ancora più empatia e compassione: sapevano che era causata da questo nemico invisibile e terribile. La cosa peggiore, ci hanno confidato, era l’impotenza di fronte a questo virus che li faceva stare sempre peggio, nonostante la loro voglia di combattere per vivere. Purtroppo alcuni di loro non ce l’hanno fatta, nonostante le amorevoli cure del personale. Anche la relazione con i parenti è stata difficile da gestire: la maggior parte non riusciva ad accettare di incontrare i propri cari solo tramite videochiamata e solo saltuariamente. Gli anziani più compromessi, talvolta, non si rendevano neppure conto che al di là dello schermo del telefono c’erano i loro parenti. Oltretutto, questa soluzione non poteva assicurare alcuna privacy, vista l’inevitabile presenza dell’operatore durante la videochiamata. Di converso, è stato riscoperto l’enorme valore dei volontari (nella seconda fase della pandemia) che hanno particolarmente aiutato nella gestione dei familiari e delle videochiamate. Il ruolo del volontario un tempo dato per scontato, andrebbe invece meglio valorizzato all’interno di una struttura, in quanto persone davvero preziose che de- dicano alcune ore del proprio tempo libero per il bene altrui. Dopo i primi mesi di confusione, il persona- le si è attivato in alcuni casi nella creazione delle stanze degli abbracci: alcune erano semplici stanze con un vetro (o plexiglas) separatore e un interfono per poter parlare con i propri cari, altre avevano dei divisori in vetro o in cellophane, con la possibilità di inserire le braccia per toccare e ab- bracciare davvero il proprio familiare.

Molte residenze, per cercare di mantenere un minimo di comunicazione con le famiglie, hanno deciso di inserire maggiori informazioni sul sito internet: menù del giorno, foto degli anziani, e anche le attività svolte. Nel mentre, ComfortCura ha incentivato il collegamento tra le diverse strutture in modalità virtuale, con pomeriggi musicali online a cui tutti potevano partecipare con una semplice connessione, il tutto al fine di evitare l’isolamento degli anziani. Dopo i primi mesi durante i quali gli ospiti non potevano uscire dalle proprie camere e le attività di animazione erano state sospese, i terapisti occupazionali hanno trasformato le attività di gruppo in attività individuali per continuare a stimolare le capacità degli ospiti. Anche se abbiamo imparato a convivere con il Covid, il personale è ancora provato ed emotivamente colpito e non ha ancora totalmente superato questo periodo così duro e difficile. Hanno tutti la necessità di parlare di ciò che è accaduto, delle sensazioni e delle emozioni provate, del senso di responsabilità che li ha investiti. Le responsabilità che hanno gravato su di loro sono state davvero grandi: hanno temuto di essere portatori del virus all’interno della residenza, di poter far ammalare gli anziani che invece dovevano proteggere e curare. Alcuni avevano deciso di “vivere” in struttura e di non
tornare a casa durante i riposi per essere certi di non essere i portatori del virus dall’esterno. Tutto ciò a discapito della propria vita personale, delle proprie famiglie e grazie a un encomiabile e grande senso di responsabilità. Ancora oggi questa paura è presente in tutti loro dal momento che si tratta di assistere persone anziane e fragili. Soprattutto ora, molti raccontano che provano un senso di stanchezza che nel bel mezzo degli avvenimenti non avevano potuto provare o manifestare, mentre adesso, che tutto è più tranquillo, possono confessare. Per superare tutto quello che è successo, alcune strutture hanno organizzato incontri con psicologi, sia in seduta individuale che di gruppo, aiutando molto quegli operatori che maggiormente hanno risentito di questa necessità. La ferita e la sofferenza sono ancora molto forti, ma si cerca di andare avanti, parlando e confrontandosi, per superare questi problemi.

Un altro problema cruciale emerso, è stata la carenza del personale, soprattutto infermieri, che hanno lasciato le RSA per andare a lavorare all’interno dei reparti ospedalieri. Ciò ha causato enormi disagi alle strutture, arrivando nei casi più gravi anche alla chiusura di nuclei per mancanza di personale che potesse assistere gli anziani. Ora è tempo di investire rivalutando il lavo- ro, non tanto la componente tecnica assistenziale e terapeutica, ma soprattutto quella della relazione tra l’operatore e il residente: quella parte importantissima che può essere davvero la base per un rapporto emotivo unico. Ciò può avvenire attraverso la formazione e la sensibilizzazione del personale, trattando temi legati al rapporto che si dovrebbe instaurare tra l’operatore e l’anziano, basati sulla gentilezza, sul rispetto della persona, sulla comprensione e sulla tolleranza.