L’emergenza Covid-19 ha accresciuto la consapevolezza tra cittadini, professionisti sanitari e manager delle strutture sanitarie sul contributo del digitale nel processo di prevenzione, cura e assistenza. Anche in Italia, i medici sono sempre più aperti all’uso di strumenti digitali. L’emergenza ha evidenziato l’importanza della possibilità di accedere da remoto ai servizi sanitari per garantire il distanziamento sociale e ridurre il rischio di contagio. Inoltre, l’uso di questo tipo di tecnologie permetterebbe ricoveri più rapidi e dimissioni più veloci negli ospedali.
A Chesterfield, negli USA, si trova un interessante caso di telemedicina: un ospedale di quattro piani, senza neanche un letto, dove lavorano più di 300 fra medici e infermieri che gestiscono da remoto circa 2.400 pazienti. Il Mercy Virtual Hospital è infatti il primo ospedale virtuale al mondo, fornendo assistenza sanitaria 24h, 7 giorni su 7. È operativo dalla fine del 2015 ed è costato 45 milioni di dollari.
Girando nei quattro piani della struttura si possono trovare strumentazioni all’avanguardia e tutto quello che solitamente c’è in un ospedale tranne, appunto, i pazienti. I dipendenti si occupano sia dei pazienti che si trovano a casa loro, sia di quelli ricoverati in ospedali sparsi fra il Missouri, l’Arkansas, il Kansas, l’Oklahoma e la Carolina del Sud. Il Mercy Virtual fa anche riabilitazione, ovviamente virtuale: i terapisti della riabilitazione interagiscono con i loro pazienti remoti attraverso una piattaforma di comunicazione integrata con soluzioni di realtà aumentata. È anche il centro di comando per la più grande unità elettronica di terapia intensiva della nazione e altri servizi di telemedicina.
Questo è sicuramente un interessante caso, forse un po’ estremo al momento. Ciò che la pandemia, però, ci ha aiutato a capire è che il focus della medicina moderna deve essere posto sulla tecnologia che permette di rompere la barriera della distanza e del tempo, e sui processi organizzativi, che vanno ripensati.