L’importanza della formazione e della diffusione di un approccio palliativo

La vita e la morte, il cerchio che si chiude, un progetto che si compie. Accompagnare alla morte è onorare la vita. In un momento della vita dove si pensa di non avere più il tempo, diventa fondamentale avere accanto persone che ti accompagnino invece, silenziosamente, a prenderti tutto il tempo che serve. Per chi muore il tempo del distacco, del lasciarsi andare. Per chi resta il tempo del lasciare andare, dell’ascolto e dell’accogliere ciò che l’altro desidera. Chi accompagna una persona, accompagna anche i suoi familiari in questo delicato momento. Diventa indispensabile donare ascolto e non fornire soluzioni preconfezionate, ma attendere con pazienza che ognuno trovi la propria scelta serena per una buona morte. Lasciare andare una persona che amiamo è difficile, ma poterlo fare sentendosi accuditi, sorretti, ascoltati, diventa un compito meno gravoso, donando dignità, importanza, valore. Questa riflessione assume ancora più significato se la caliamo nella realtà delle RSA. In particolare è molto importante che i professionisti acquisiscano competenze per gestire al meglio queste situazioni.

La comunicazione sulla prognosi e sulle preferenze di cura può consentire ai residenti e alle famiglie di prepararsi all’avvicinarsi della morte. Una comunicazione adeguata può aiutare l’accettazione di una prognosi spesso incomprensibile, diminuire le cure non utili e migliorare la qualità della morte. Spesso i tabù sulla morte e sul morire hanno ostacolato la comunicazione di fine vita e sono stati responsabili della scarsa formazione del personale. Emerge quanto poco spazio si sia dato nei programmi formativi alla cura del dolore e alle scelte di fine vita. I motivi di questa negligenza formativa in
qualche caso sono profondi o inconsci: si vuole forse, in questo modo, rimuovere la sgradita etichetta di istituti dove si muore; non si vogliono affrontare tematiche che impegnano la coscienza o la fede di ciascuno; o forse, più semplicemente, anche le RSA partecipano all’epocale processo di rimozione della morte che colpisce le società sviluppate. In un contesto di fine vita, diventa sostanziale considerare come tempo lavoro, non solo quello destinato alle attività tecnico-operative con l’anziano, ma anche quello dedicato agli incontri con i familiari. Il tempo della relazione è tempo di cura. La cura di questi momenti produce un miglioramento della qualità della comunicazione e deve comprendere sia una trasmissione precisa delle informazioni sia un supporto e un’accoglienza emotivo-relazionale. In questo modo i familiari si sentono rassicurati e possono vivere questi spazi comunicativi come “sfogo” o “discussione di sollievo”. Tanto più gli interventi sono tempestivi e approfonditi, quanto più le famiglie si sentono consapevoli del decorso clinico del loro caro e possono compiere le loro scelte con serenità. Una riflessione significativa va fatta per le cure palliative nelle RSA. La legge 15 marzo 2010 n.38 definisce le cure palliative come “l’insieme degli interventi terapeutici, diagnostici e assistenziali, rivolti sia alla persona malata sia al suo nucleo familiare, finalizzati alla cura attiva e totale dei pazienti la cui malattia di base, caratterizzata da una prognosi infausta, non risponde più a trattamenti specifici”. Le cure palliative forniscono sollievo dal dolore e da altri gravi sintomi e considerano la morte un processo naturale che non intendono affrettare né ritardare. È indispensabile che esse non siano prerogativa solo di team specializzati, nei vari luoghi di cura a livello domiciliare, negli hospice o in ospedale, e attivate solo quando tutti gli altri interventi terapeutici sono stati interrotti. I principi della medicina palliativa devono diventare parte integrante in tutto il percorso di cura e devono essere garantiti in ogni ambiente assistenziale, comprese le RSA che, essendo luogo di cura e di residenza, non possono più rimanere estranee alla medicina palliativa. Le RSA hanno infatti un ruolo sempre più importante nella cura degli anziani fragili al termine della loro vita in quanto circa la metà di tutte le persone anziane viene ricoverata in residenza sanitaria almeno per qualche giorno nell’ultimo mese di vita. Una riflessione va posta anche sui bisogni dei caregiver, il cui ruolo insostituibile nell’assistenza alle persone anziane gravemente malate non è stato compreso, se non in parte e solo recentemente. In genere, il caregiver ha stretti vincoli di parentela con il paziente, vivendo spesso nella medesima abitazione. Il carico psico-fisico ed emozionale che questo comporta può ad un certo punto produrre cambi della personalità e del comportamento, sostenuti da emozioni conflittuali; può comportare gravi limitazioni della propria vita personale e, a volte, il dispendio di risorse finanziare. È necessario, pertanto, che il personale delle RSA consideri i caregiver come parte integrante del processo del prendersi cura.

In Italia non esistono molti dati relativi al tipo di cure a cui vengono sottoposte le persone anziane in RSA nell’ultima fase della loro vita: in particolare non è noto se l’approccio sia di tipo prevalentemente interventista o prevalentemente palliativo. I pochi dati della letteratura suggeriscono che le persone ricoverate in RSA non siano percepite come malati terminali, non ricevano cure palliative ottimali e che sia quindi necessario un rilevante intervento formativo nei confronti degli operatori che si occupano di loro. È necessario far sì che un approccio di tipo palliativo divenga parte integrante dell’assistenza in ogni RSA. Il personale delle RSA è abituato da sempre ad affrontare la fase terminale e la morte, ma è sostanziale chiedersi come migliorare la loro qualità. Lo strumento che al momento è più accreditato per migliorare le prestazioni assistenziali è senza dubbio quello della formazione sul campo e della conseguente ricerca. Gli obiettivi formativi dovrebbero riguardare il cambiamento nella percezione delle cure palliative nella fase terminale della vita di una persona nell’ambito delle RSA; la riduzione della prevalenza di prescrizioni e interventi inappropriati nell’ultima settimana di vita; l’adozione di strumenti di rilevazione e valutazione orientati in senso palliativo e la conoscenza della legislazione vigente legata a questi ambiti. È evidente come la formazione possa produrre cambiamenti, migliorando le pratiche nel fine vita e favorendo una maggiore consapevolezza della cultura e della adottabilità di una
strategia palliativa all’interno delle RSA. Dovrà rappresentare un impegno morale e sociale quello di unire a una forte componente umana di sensibilità e attenzione alla persona, un impianto di conoscenze teoriche, tecniche e l’adesione consapevole a procedure e linee-guida, che garantiscano un’efficace e professionale risposta ai bisogni delle persone che si avvicinano al fine vita fornendo dignità e valore a quello che Tolstoj definiva “quell’atto formidabile e solenne che è la propria morte”.